3 dicembre | Galla 1880 | ore 11.00
Un incontro su Pier Paolo Pasolini nel centenario della nascita
Testimonianze di Giorgio Manacorda e Francesca Romana Paci
Letture di Antonino Varvarà
Ho conosciuto Pasolini nell’aprile 1963, lui aveva appena compiuto quarantun’anni e io mi avviavo ai ventidue. Adesso che ho il doppio dei suoi anni di allora mi sembra giovanissimo, ma a me sembrava grandissimo, sia per l’età sia per la sua poesia. Ero tornato da poco dal mio lungo esilio nei collegi svizzeri, e avevo un grande desiderio di riappropriarmi della cultura del mio paese. Pasolini cade in quel momento magico, in qualche modo perfino felice, in cui la cultura di sinistra di casa mia (dei miei genitori) incontrava la poesia – che avevo appena cominciato a scrivere. Avevo letto Le ceneri di Gramsci e La religione del mio tempo. Presentando i miei versi un anno dopo, Pasolini scrisse di “aver subito visto, da fervente diagnostico, che in quei versi giovanili c’era la ‘qualità’”. Oltre a questa diagnosi, per me allora fondamentale, ancora mi colpisce come abbia potuto capire due cose: “la pulizia” della mia testa, e soprattutto, “l’onesta volontà di essere qualcos’altro che poeta!”.
Giorgio Manacorda
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